Mio marito non mi aiuta con i figli: la prima delle frasi che ci fanno male

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Ieri sera ho fatto tardissimo, stavo per spegnere il telefono quando sono incappata in un post di una mamma su un gruppo della mia città e mi sono persa tra le risposte che le hanno dato e i miei pensieri. L’argomento è il tema dei temi, il marito che non “aiuta”,

Raccontava di avere due bambini, uno di cinque e un neonato di due mesi e di vivere una profonda crisi coniugale. Lei a casa in maternità senza aiuti e i bambini da gestire, lui al lavoro tutto il giorno: solito film, penserete probabilmente.

Lei lamenta una enorme e comprensibile stanchezza, il postparto, l’allattamento, le notti in bianco, la fatica, cose che conosciamo molto bene. La nota più amara, almeno per me, giunge però alla fine del suo messaggio, che  chiude raccontando di come il marito una volta arrivato a casa prepari la cena e apparecchi la tavola, lamentandosi di sentirsi “peggio che un servo”. La situazione, a detta di lui, sarebbe sempre più frustrante e insostenibile, tanto da portarlo a valutare di chiedere la separazione.

Ora, non conosco i protagonisti della situazione, non conosco le dinamiche, non so chi erano loro come coppia prima di avere dei figli, e soprattutto non giudico. Quello che mi ha invece profondamente colpita sono stati i commenti delle altre mamme.

Davanti a una donna evidentemente provata e oberata di incombenze nella maggior parte delle risposte le si faceva notare quanto comunque potesse ritenersi “fortunata”, perché il marito tornato stanco dal lavoro (come se fosse stanco solo lui, giusto?) almeno la “aiutasse” con la cena. Ma non solo: che proprio perché fa lo sforzo di mettere qualcosa in tavola, lei potrebbe mettere due piatti e due posate.

Mio marito non mi aiuta con i figli
Mio marito non mi aiuta con i figli: la prima delle frasi che ci fanno male

Mamme, siamo sicure di aver bisogno di aiuto?

Leggendo la vicenda della mamma di cui vi parlavo e soprattutto le opinioni di altre donne, mi sono resa conto ancora una volta di quanto certi costrutti mentali siano duri a morire. E non so voi, ma ogni volta che sento il ritornello del “Mio marito non mi aiuta con i figli o mio marito non mi aiuta con la casa” mi sale una grande rabbia. Io non ho mai voluto aiuto da mio marito, intanto perché un aiuto si chiede nel momento dell’estremo bisogno e secondo me in una famiglia non c’è bisogno di arrivare allo stremo delle forze per capire che ora di schiodarsi dal divano, secondo perché un aiuto è un atto di benevolenza verso una persona o una situazione verso la quale non si ritiene di avere alcun dovere.

Quindi, per le ragioni di cui sopra un marito, un compagno, un papà, quando fanno qualcosa per la famiglia non “aiutano”, semplicemente fanno la loro parte, il che è molto diverso e non è una banale questione di forma, ma di sostanza. Parlare di “aiuto”, di mariti e compagni che aiutano, equivale a raccontare ancora una volta la trama che conosciamo fin troppo bene: ti dò una mano, perché sono magnanimo nel a fare qualcosa che nella routine competerebbe interamente a te. Imparo a fare qualcosina e se non sono troppo stanco dalla mia giornata ti vengo in soccorso. Ma lo sappiamo fin troppo bene che non solo non è giusto, ma non è nemmeno più sostenibile, per molte ragioni.

 La prima secondo me è la più importante: le famiglie sono cambiate. E non da oggi.

Solo qualche decennio fa le donne che avevano appena partorito tornavano a casa ed erano assistite da altre donne, si mettevano un mese a letto e potevano pensare a recuperare energie fisiche e psichiche, mentre erano assistite da altre donne. Ora in due giorni le mamme vengono dimesse dall’ospedale, spesso con poche informazioni. I mariti quando va bene hanno una settimana di congedo, e dico quando va bene.

I genitori spesso sono anziani, perché si fanno figli sempre più in là, o sono lontani, o non hanno una gran voglia. Le nonne non sono più lì ad aspettare solo di avere un nipotino in braccio. Alcune sicuramente sì, molte altre no, e non si fanno nemmeno troppi problemi a dirlo apertamente.

In poche parole, pochi giorni dopo il parto spesso il sipario cala, e chi si è visto si è visto (e spesso non si vede più). I papà tornano al loro lavoro e per loro nulla cambia, almeno da quel punto di vista, chi è fortunata ha la mamma o i parenti di fianco, chi non ce l’ha e può farlo si avvale di supporti esterni, per chi non appartiene al primo e al secondo gruppo inizia una grande sfida ed impensabile, disumano, oltre che profondamente ingiusto lasciare le mamme completamente sole nel fuggi-fuggi generale. Ma mentre ahimé, tutti gli altri se non vogliono hanno il diritto di non esserci, per i papà la musica è totalmente diversa. Non è una musica sempre allegra e tantomeno divertente, ma è una musica che si balla in due.

Mio marito non mi ha mai aiutato e ne sono felice, il suo contributo in famiglia per me non rappresenta un aiuto per il semplice fatto che il figlio è di entrambi non solo mio. Certamente ci sono cose che faccio più volentieri io e altre che fa lui, ma siamo intercambiabili all’occorrenza, non sarebbe possibile diversamente. Quando è nato mio figlio l’ho raccontato diverse volte, non sono stata bene e non ho potuto alzarmi dal letto per un mese. Dopodiché la ripresa è stata lunga, ed eravamo da soli, completamente da soli. Per me arrivare a sera era già un’impresa così, non avrei mai potuto fare anche tutte le notti in piedi, le faceva lui, per un periodo le ha fatte da solo e la mattina alle sei prendeva il treno per andare al lavoro.

Non c’erano molte alternative, c’era da stringere i denti e l’abbiamo fatto, ognuno per come poteva. Poi l’azienda per cui lavorava ha chiuso dalla sera alla mattina. Passava le giornate a cercare lavoro e io fuori con la carrozzina affinché potesse cercarlo in pace. Tornavo a casa a pezzi, facevo chilometri su chilometri a piedi, con la testa piena di pensieri. Questo non fa di noi degli eroi, semplicemente abbiamo sempre saputo di essere in due e di dovere arrangiarci con quello che avevamo. Ma che la famiglia è responsabilità di entrambi, nel bene e nel male l’abbiamo sempre saputo.

Abbiamo litigato? Anche, certamente. Perché eravamo distrutti e pieni di problemi. Perché non dormivamo mai, perché é stata molto più dura di come la immaginassimo. Ma almeno li abbiamo affrontati insieme. Non è una “fortuna” che un papà sappia cambiare un pannolino, questo non fa di lui un “mammo” (termine orrendo che la dice lunga sui retaggi culturali in cui siamo intrappolati), fa di lui un uomo che si prende cura di suo figlio.

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Non è un regalo che un uomo prepari un piatto di pasta: sono bel lontani, fortunatamente, i tempi in cui il padre tornava a casa e pretendeva di essere servito e riverito. E non tutto quello che fa di una mamma una “semplice” mamma, deve necessariamente rendere un padre “speciale”: sono genitori allo stesso modo che si occupano dei figli, e non c’è molto da aggiungere.

Non è un’invettiva “contro” gli uomini questa, tutt’altro, perché ce ne sono e sono tanti che si mettono in gioco con passione, che ci sono: è una riflessione su di noi. Sul nostro modo di rapportarci alla maternità, sul dare per implicita e assodata la valenza “sacrificale” di questo ruolo. Le parole diventano fatti e i fatti si trasformano in un destino, e in quel “mio marito non mi aiuta” l’epilogo della storia non è nemmeno dei più felici. Il buono delle storie però è che si possono cambiare, che si possono riscrivere.

Non è una briciola di aiuto di cui abbiamo bisogno, smettiamo di farcela bastare facendo finta che ci vada bene così.

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