Ho avuto una gravidanza difficile terminata d’urgenza e nella totale assenza del papá di mio figlio, quindi oltre alla difficoltà nel gestire un bambino prematuro che, piccino, urla ed è completamente dipendente da te, si è unita la ribellione del mio corpo e una impossibilità di convalescenza post operatoria. All’improvviso non sei più padrona del tuo tempo, dei tuoi spazi, del tuo corpo. Ho sempre fatto questo paragone: diventare madre è come avere un braccio in più che ti porti sempre appresso, ma che fa tutto quello che gli pare, indipendentemente dalla tua stanchezza, fame o necessità di respiro.
Non so quante volte ho dovuto scegliere tra il mangiare qualcosa velocemente e una doccia. Sono stata fortunata, perché ho mantenuto la lucidità necessaria, ma puó succedere a chiunque.
Il primo anno è stato molto difficile. Non posso dire di aver provato quella gioia che tutte raccontano di provare con l’arrivo di un figlio.
Ho iniziato a conoscerla intorno ai 10 mesi del mio bambino, quando ha iniziato a comunicare con me. Anche l’affetto verso quella creaturina è stato un lungo processo di crescita. Non ti dico il senso di colpa che ancora oggi talvolta provo per non aver saputo dare a mio figlio, nei primi mesi, la madre felice che tutti si aspettano quando nasce un bambino. Appena ho potuto staccarmi un’ora da casa, ho cercato un supporto psicologico e ora posso dire di aver trovato un equilibrio e una serenità, allineandomi con il mio bambino per il quale, ora, provo un grande senso di protezione, responsabilità e immenso amore.
Certo, la libertà è ancora limitata. Lavoro e poi torno a casa per stare con lui. Non esco mai alla sera, va a letto ancora molto presto e non me la sento di allontanarmi essendo già stata via tutto il giorno per lavoro. A volte mi ritaglio un’oretta e mezza a settimana, con grossi sensi di colpa. Da un mese circa, il papá lo prende qualche ora durante la settimana, ma non abbastanza da permettermi di crearmi qualche svago con cadenza regolare, quindi mi limito a sistemare casa, cucinare o mangiare più con calma, cosa che quando ho mio figlio a casa non riesco ancora a fare. Al contempo, mi sembra che il tempo da passare con mio figlio non sia mai sufficiente.
Per quanto una donna possa prepararsi all’arrivo di un figlio, questo ti stravolge completamente la vita e il senso di inadeguatezza te lo porti appresso ogni giorno. La routine quotidiana, da quando ho ripreso a lavorare (mio figlio aveva 9 mesi) la gestisco con i miei genitori, più che altro con mio padre. Mio figlio sta con i nonni durante il mio orario di lavoro, che è un orario centrale.
Da settembre ho finalmente ottenuto dal Tribunale che possa andare al nido in part time. È un bambino molto socievole, si divertirá un mondo con i suoi coetanei e i miei genitori avranno la mattinata libera per i loro impegni. Dal momento in cui arrivo a casa, me lo gestisco completamente da sola, non importa se sono stanca o ammalata.
Difficilmente ho chiesto aiuto, forse perché mi son sentita dire troppe volte che me l’ero cercata e che non dovevo lamentarmi. Come dicevo, passa qualche ora la settimana con il papá, ma in realtà non ho più tempo per me, semplicemente ho invertito le cose che facevo dopo cena anticipandole a prima di cena. La mia vita professionale ne ha risentito nella misura in cui ho dovuto rinunciare al lavoro che avevo sognato accettando un’offerta di lavoro che mi permettesse orari stabili e uno stipendio un po’ più alto, ma a scapito della soddisfazione e della crescita professionale. Adesso mi dico che è solo una parentesi fintanto che mio figlio è piccolo, ma spero che lo sia davvero e che questo fare un passo indietro non mi releghi a una posizione statica e meno soddisfacente.
Amo lavorare, mi fa sentire utile al mondo e la completa autonomia economica è un qualcosa alla quale non sarei disposta a rinunciare nemmeno se fossi sposata con un milionario. Non posso dire di essere soddisfatta completamente della mia vita, ma talvolta mi rendo conto che ho una grande forza. Avrei voluto l’aiuto e il conforto della mia mamma, ma son stata sempre io la più adulta tra noi due. Ci sono quelle due o tre cose che vorrei, ma mi dico che sono giovane e che le cose arrivano quando devono arrivare.
Cerco di riconoscere e apprezzare i momenti di felicità. Sono grata per quello che ho, provo un senso d’ingiustizia di fondo per quello che non ho avuto, nonostante l’impegno.
All’ultima domanda non so rispondere. Sono rimasta incinta nonostante le probabilità fossero minime e ho deciso in autonomia di portare avanti la gravidanza, in quanto il padre di mio figlio ha troncato con me praticamente appena gliel’ho comunicato. Ancora oggi me ne fa una grande colpa, perché l’ho condannato decidendo per entrambi, quando io ho solamente scelto di portare avanti il mio bambino, non me la sono sentita di abortire. Ci sono stati vari tira e molla, uno degli ultimi una settimana prima del parto.
Sono stata lasciata e abbandonata in uno stato di salute grave a una settimana dal parto d’urgenza, un mese prima dal termine gestazionale. Non è stato facile e mi rendo conto ora di aver perso fiducia nelle relazioni di coppia. Le guardo con cinismo e distacco, forse anche per proteggermi.
Sicuramente anche per proteggere mio figlio, perché se c’è una cosa che ho capito, è che un bambino è felice quando lo sono anche i suoi genitori. Non si sta insieme per i figli, non importa che si litighi o meno, i bambini non sono altro che il nostro riflesso. È nostro dovere prima di tutto trovare la stabilità e la serenità per noi stessi, loro staranno bene di conseguenza.
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