Prima mi è successa una cosa strana. Aspetto mio figlio fuori da uno dei suoi corsi pomeridiani seduta in macchina in pieno pomeriggio.
Il marciapiede è vuoto, mi manca mezz’ora e sono lì che penso ai fatti miei. Escono da qualche scuola lì attorno due ragazzini che non hanno più di dodici anni.
A un certo punto si dicono qualcosa, uno dei due sferra all’altro un calcio negli stinchi, sul momento non colgo la forza con cui gliel’ha dato e ho quasi l’impressione che stiano scherzando.
Invece mi sbaglio e di grosso; il ragazzino, colpito, si accascia per terra e comincia a gridare dal dolore.
Senza pensarci mi catapulto dalla macchina e gli urlo cosa stai facendo non lo vedi il male che gli hai fatto? Si, mi risponde, gli sta bene. La risposta mi fa rimanere più allibita del calcio che gli ha dato.
Allungo la mano verso il ragazzo per terra e mi colpisce vedere le lacrime che rigano il
viso di un bambino così ‘grande’. Vieni, posso aiutarti? Mi tende la mano e si alza in piedi, ed più alto di me.
Frugo in borsa e gli porgo un fazzoletto. In qualche modo si infila lo zaino sulle spalle, visibilmente scosso e praticamente zoppicando si avvia verso la fermata del tram.
Non è che il mio intervento sia servito a granché, la gamba gli faceva male e certamente non gliel’ho risolto io, ma volevo fargli capire che un adulto aveva visto quest’ingiustizia ed era pronto a difenderlo.
Sembrano grandi, ma quando li guardi negli occhi sono semplicemente quello che sono, ancora bambini, bambini che non sanno dove sono, che non sanno che cosa succede attorno a loro. Bambini e basta.
Bambini che avrebbero bisogno di essere educati al sentimento in un mondo che ai sentimenti non pensa più.