Ieri sono passata davanti alla mia scuola delle elementari, nonostante sia qui vicino faccio sempre altre strade e non la rivedevo da anni.
Mi fermo un attimo sul marciapiede dell’uscita, e torno indietro in un attimo nei pomeriggi di tanti anni fa e mi torna in mente una delle mie amiche da cui spessissimo trascorrevo pomeriggi a giocare, sabati sera a dormire e tante ore spensierate.
Tra tutto quello a cui potevo ripensare come se fosse ieri torno a un episodio che anni fa mi sembrava banale, oggi invece rivedo con altri occhi.
Quando uscivamo da scuola sua mamma che era fuori a prenderla le chiedeva sempre: ‘Ti sono mancata?’ Lei candidamente rispondeva di no.
Era una bambina socievole e di buon carattere che oggettivamente stava bene a scuola e con gli altri. Ma la mamma quel no non lo sopportava non riusciva a gestirlo, era una sua fragilità. Viveva evidentemente molto male il fatto di non sentirsi indispensabile in ogni momento.
‘Ma come non ti sono mancata, non ti manca la mamma dopo tante ore?!’. Quella che potrebbe essere percepita come una frase scherzosa, di leggero purtroppo non aveva niente.
E quello che avrebbe dovuto essere celebrato come un successo per un genitore, ovvero una bambina serena che affronta con positività le nuove esperienze, era diventato un oltraggio, lei la viveva come una mancanza nei suoi confronti.
Dopo un po’ di tempo alla stessa domanda la bambina ha cominciato a mentirle, per sopravvivenza: ‘Si mi sei mancata tantissimo’. Così lei si rasserenava e il discorso finiva lì.
A nove anni si era già presa in carico senza saperlo tutte le insicurezze e la paura di non essere indispensabile di un adulto. Se ci ripenso con gli occhi di oggi provo una gran tenerezza per quella bambina che ha imparato troppo presto a recitare un ruolo che non era il suo.
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