Per un periodo piuttosto lungo Natale mi ha fatto una gran malinconia.
Tutte quelle luminarie, quelle canzoni, quell’aria di Festa, le lucine e le cene di Natale mi portavano indietro in un tempo che io sapevo che non sarebbe ritornato mai più. Le Feste erano diventate un fastidioso e inevitabile incidente.
Se solo avessi potuto, avrei fatto un salto direttamente all’8 gennaio, rispedito l’albero in cantina e chiuso il capitolo senza troppi pensieri come si fa con quei libri che ti inquietano ma devi finire per forza, e hai solo una gran fretta di metterli via. Per me era così; il motivo principale è che due delle persone che lo rendevano bello, mio padre e mio nonno, non c’erano più. E nel corso degli anni il resto dei legami familiari si era lentamente sgretolato. Poi, per una serie di motivi con cui non sto qui ad annoiare nessuno, abbiamo piano piano ricominciato a sentirci, é arrivato mio figlio e ho sempre desiderato ridare vita a quella magia, almeno per lui.
Ma quella magia ho sempre saputo che non si esaurisce in una bella tavola di fiandra con le candele rosse, ma la magia la fanno le persone sedute attorno a quella tavola. E quelle persone non si vedono certo una volta all’anno.
Quelle che ti raccontano aneddoti del passato che nessuno ti può raccontare se non loro, quelli che da adolescente con una malcelata punta di sadismo ti chiedono davanti a tutti se hai il fidanzato solo per il piacere di farti diventare del colore delle candele. Quelli che alla fine ti fanno trovare da mangiare le cose che preferisci, e tu da piccolo pensi che sia un caso, da grandi ti rendi conto che era per te.

Accettare la realtà
Cresciuta da un padre idealista e fortemente attaccato alle radici, ho sempre avuto la certezza che sono importanti. Perché sono non solo il tuo punto di partenza, ma anche quello a cui tornare. Pero quest’anno questa certezza é stata superata da una consapevolezza ancora maggiore, e ancor più forte se possibile. Per quanto ti possa sforzare, per quanto tu ti possa dedicare, per quanto tu possa desiderare alcune cose, e per quanto questi desideri siano autentici e innocenti, arriva un momento in cui fare i conti con la realtà è un atto di maturità e una presa di coscienza che devi prima di tutto a te stessa.
I figli degli anni Ottanta come la sottoscritta, hanno fantasticato sulla famiglia del Mulino Bianco, l’incarnazione della borghese perfezione, per capirci. Io per prima per molti anni mi sono illusa che basta volerle le cose. No, non basta volerle. Devono volerle anche gli altri, con la stessa intensità e lo stesso interesse. Altrimenti stai ballando da sola, come recita il titolo di un film. E a ballare da soli dopo un po ci si stufa.
Attorno alla tavola di quest’anno in realtà bisognava prestare attenzione ad ogni singola parola, perché una parola di troppo poteva rappresentare una miccia per far partire frecciate e discussioni difficili e spiacevoli da disinnescare. Al terzo giorno ero esausta, i giorni seguenti ho riflettuto molto. L’idea della grande famiglia vicina, per molti è una realtà, ed è una bellissima realtà, ma non é per tutti così. Riprovare in ogni modo a tenere insieme un qualcosa che non sta insieme e che non sta in piedi perché non c’è una reale volontà da parte di tutti a tenerla in piedi, a girare pagina. A volte si fa “per i bambini”, ed é giusto provarci. Per i bambini, per noi, per tutti. Ma quando non esiste un reale rapporto, rimangono forse solo rituali vuoti, privi di un reale significato. Famiglia é starsi vicino ed è sceglierlo ogni giorno di starsi vicino, é anche un decidere di andare d’accordo forse, o di fare del nostro meglio affinché i rapporti funzionino. Quando non c’è un “noi”, non c’è più o forse non c’è mai stato, il più bel regalo di Natale da fare a se stessi è prenderne atto e accettarlo, come un dato di fatto.
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