Questa sera mi è venuta un po’ di malinconia quando mi sono resa conto, tutto d’un botto, di quanto mio figlio è cresciuto.
Non l’ho capito dai grandi discorsi, o da qualche strano particolare, l’ho notato da un piccolo, apparentemente insignificante particolare: siamo praticamente a inizio dicembre, e non ha ancora chiesto dell’albero di Natale, dei regali, niente. Fino a un anno fa era esattamente l’opposto. Lo chiederà, ma non è più la priorità, ha in mente anche altro ed è giusto così.
Dal canto mio, posso dire che ho sempre avuto ben presente che tutto questo non era per sempre e che quella fase, stancante e magica insieme, fosse destinata a finire, o comunque a trasformarsi.
L’ho sempre saputo, ma certo poi rendersene conto è un’altra cosa. E a maggior ragione oggi, sono contenta di tante cose.
Sono contenta di averlo tenuto in braccio tutte le volte che ho voluto tralasciando senza troppe remore tutto quello che per me era meno importante, sono contenta di essermene fregata di tutte quelle voci attorno che ti spronano ad essere quello che non sei.
Che ti spingono a fare la parte della dura con i tuoi figli quando quella parte ti fa schifo e non la vuoi. Per fortuna non l’ho mai recitata, mi sono accontentata di essere me stessa e questo basta e avanza.
Sono contenta di tutte le volte che mi sono fermata a osservare i suoi occhi e le sue mani mentre stava scoprendo qualcosa, cercando di trattenere per sempre nella mia memoria quello sguardo vispo e curioso.
Sono contenta di tutte le lacrime che ho asciugato senza dirgli di non essere ridicolo o senza paragonarlo a nessuno. Sono contenta di tutte le favole lette rilette e stralette. Delle ore passate sul balcone a guardare la pioggia.
Sono contenta di aver vissuto e di vivere questo viaggio a modo mio e di nessun altro.
Sono contenta di aver sbagliato e di sbagliare ogni giorno con la mia testa e non con quella di chi mi consiglia atteggiamenti che non fanno parte di me in cui non mi riconosco, perché é troppo facile dare mille giudizi alle mamme.
Sono contenta di tutti i bigliettini a forma di cuore che gli lasciavo nelle tasche quando andava in crisi all’asilo e di non avergli risposto con la superbia di noi adulti di imparare a cavarsela. Ha imparato lo stesso, ma con altre risposte.
Sono contenta di averlo lasciato e di lasciarlo bambino tutto il tempo di cui avrà bisogno per esserlo, c’è tempo per guardare alla realtà con il disincanto di un adulto, l’infanzia non è che una breve parentesi.
Non ascoltate chi vi spinge a farli diventare grandi prima del tempo, a chi vi esorta a replicare con durezza ad ogni loro piccola fragilità, non date conto a nessuno di dove dormono e di dove dormite voi,
non fatevi dire che cosa fare in casa vostra. Non c’è nessun guru là fuori, non esiste nessun libro delle risposte.
Le risposte le troviamo solo quando guardiamo negli occhi i bambini.
Teneteli stretti: grandi lo diventano da soli, li fa diventare il mondo e certamente non è qui a chiedere il nostro permesso.
Ed è proprio allora, che iniziamo a pensare che quel casino di macchine e giochi in giro, tutto sommato non da’così fastidio e va bene se rimane lì ancora per un po’, che rileggere cento volte una favola non è poi così noioso, e che in fondo tutto questo fa parte di un’esperienza che sta a noi e a noi soltanto riuscire ad apprezzare.
Perché se c’è un dato di fatto, è che piccoli no, non lo saranno due volte.