INTERVISTA
Quando ho scoperto di aspettare un bambino, ho pianto. Tutti erano felici intorno a me, come se mi fosse toccata la lotteria. Io fin da subito ho sentito l’enorme responsabilità di una vita umana tra le mie mani e piangevo perché avevo paura di non essere abbastanza per questo ruolo così importante.
Il mio corpo ha iniziato a trasformarsi e certamente è stato un percorso difficile: passavo dall’essere un giovane attraente fanciulla a diventare una “futura mamma” e di certo gli ormoni non aiutavano in questo passaggio.
Per la prima volta ho provato una sensazione che mi avrebbe poi accompagnata per i miei primi anni di maternità: la solitudine.
Ho avuto la fortuna di amare fin da subito la creatura che portavo dentro di me e il giorno in cui è nato mio figlio e l’ho guardato negli occhi, ho provato cosa significa amare incondizionatamente.
In ospedale ci si aspettava che sapessi esattamente cosa fare con questa creaturina, la verità è che mi sentivo spaventata, non sapevo ancora come allattarlo bene e le sensazioni sono state contrastanti, tra la gioia e la gratitudine per questo bellissimo bambino e il senso di inadeguatezza e solitudine. Si, perché in ospedale sei da sola, nessuno con cui condividere i tuoi pensieri, le tue sensazioni, i tuoi timori.
Rientrata a casa, tutti i parenti sono accorsi per fare visita al nascituro. Io ero stremata dalle primissime notti insonni: dal primo giorno di vita del bimbo fino ai suoi due anni e mezzo ho smesso di dormire.
Il parto nemmeno è stato facile, a livello fisico ero dolente, a livello ormonale per aria, insomma, è stato un periodo davvero delicato che ahimè non ho avuto il tempo di elaborare perché non c’è stato tempo.
Privazione del sonno, amici che se ne vanno e solitudine: anche questa é in alcuni momenti la vita da mamma
Il papà del bambino ha ripreso subito la sua routine lavorativa, la sua vita procedeva quasi come prima. Usciva al mattino, rientrava la sera tardi e trovava anche il tempo di una birretta con gli amici. Io mi alzavo al mattino già stremata, poi ci si vestiva e si usciva a girovagare per la città. Credo che in quel periodo mi abbiano fatto più compagnia gli sconosciuti del paese, il signore del bar, la signora dell’edicola, quelle persone che mi regalavano sorrisi e quattro chiacchiere.
I nonni? Tra chi era preso per il lavoro, chi vive lontano, chi ha altre priorità, li vedevamo poco. Le amicizie si sono defilate, perché cambiate le circostanze non era più così interessante trascorrere del tempo con me. Mi sono resa conto che non dovevo più accontentarmi e che avrei dovuto cominciare a scegliere le persone di cui circondarmi in futuro.
Ricordo un giorno in cui spingevo la carrozzina e mi si chiudevano gli occhi tanto che inziavo a sognare. La privazione del sonno è una circostanza davvero sottovalutata e anche se lo racconti, la cosa viene sminuita. Forse bisogna provarla per capirla. L’amore infinito verso il bambino, il fatto di essere una persona mediamente equilibrata, mi ha dato la forza di andare avanti.
In tutto questo io come essere vivente non mi riconoscevo più. Prendersi cura giorno e notte di un’altra creatura senza avere spazio di fermarsi e centrarsi su sé stessi, è davvero alienante. Cercavo di recuperare quell’immagine di me prima della gravidanza, che vedevo sempre più sfocata.
Poi un giorno l’illuminazione: mi sono accorta che per andare avanti, dovevo lasciare andare. I ricordi di com’ero, la vecchia me, doveva lasciare spazio alla nuova me.

Diventare genitori ci ha spinto a dare il nostro meglio, ma capisco perché alcuni gettano la spugna
Ho scoperto che con un bimbo piccolo la coppia viene messa a dura prova. Reduci da una cultura in cui esclusivamente le donne si prendevano cura dei nascituri, una donna nel 2025 si trova spesso sola nell’occuparsi del neonato. Questo genera frustrazione e aumenta quel senso di solitudine. Solitudine significa avere tanto da condividere e nessuno con cui farlo.
È molto importante parlarsi, confrontarsi, esprimere le proprie perplessità, affinché la coppia cresca e si responsabilizzi in egual misura. L’amore è un duro lavoro e un figlio è la prova più grande da superare. Capisco perché molte coppie gettano la spugna e si separano dopo l’arrivo di un figlio, nel nostro caso il bambino è stato il motore che è servito per dare il nostro meglio.
Il bambino è cresciuto, ad oggi ha quasi cinque anni e non scorderò mai il giorno in cui l’ho guardato negli occhi per la prima volta.
È un dono, un regalo meraviglioso che la vita mi ha fatto. Ho conosciuto l’amore incondizionato, ho affrontato le mie paure e continuo a crescere insieme a lui, come madre e soprattutto come donna. Così come desidero il meglio per lui, ho iniziato a cercarlo anche per me. Ho scelto le persone di cui circondarmi, chi lasciare andare, chi perdonare. Mi sono chiesta cosa amo fare e ho iniziato a dargli spazio nella mia quotidianità. La nascita di mio figlio è stata la mia rinascita.
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