Implodere. Perché non voglio più essere una mamma “multitasking”

1024 625 Stancamente Mamma

Voce del verbo implodere. In fisica significa frantumarsi. Nella realtà, anche. Frantumarsi, andare in pezzi.  [Prima di scrivere queste righe, per chi lo dirà e lo penserà preciserò subito che mio marito fa il marito e non il coinquilino, quindi divide equamente con me il carico di lavoro che la famiglia che abbiamo creato comporta. Lo dico a scanso di equivoci, perché i commenti sono sempre legati che cosa fanno o non fanno le persone che abbiamo di fianco. Ma non é così, si può implodere anche per conto proprio, a prescindere dal contesto. Quindi i commenti del tenore “Ma gli uomini dove sono?”, “Con chi fate i figli”, varie ed eventuali sono più fuori luogo che mai, almeno in questo contesto].

Pensare troppo spesso non risolve i problemi ma li crea

Ieri parlando con una persona a cui voglio bene mi sono resa conto che in questi anni sarò implosa un migliaio di volte, o forse di più. Implodo quando sono preoccupata e non lo ammetto, quando ho una miriade di pensieri a volte inutili legati a mio figlio molti dei quali sono preoccupazioni forse eccessive. Implodo quando penso e ripenso alle stesse cose. Implodo quando prendo in giro me stessa sul fatto che ad esempio avrei bisogno di più riposo a livello mentale e anche quando potrei, quello spazio per qualche ragione non me lo prendo mai, perché in qualche modo devo sempre “essere sul pezzo”. Fingo che non sia così, e in qualche modo inganno me stessa nell’ingenua illusione di riuscire a controllare tutto. Implodo quando metto i miei bisogni in fondo alla lista o quando mi costringo ad essere più forte di quello che sono. Chi me lo chiede?

La cosa bella é che non me lo chiede nessuno. Eppure questa pressione, questo “giudizio” é qualcosa che siamo noi stesse spesso a infliggerci, senza un reale motivo. Sei in qualsiasi posto e con la mente divaghi altrove, pensando a che cosa devi fare più tardi. A quello che non hai fatto, a quello che avresti potuto fare diversamente, o meglio.

Sei al lavoro, pensi alla spesa, al frigorifero da riempire, ai compiti del bambino da gestire nel pomeriggio, a quell’invito alla festa dell’amichetto che ti sei dimenticata di confermare. E via di seguito, in un loop continuo che va avanti anni e nel quale inciampi senza renderti nemmeno conto. Lo chiamano carico mentale, qualsiasi cosa sia, é un qualcosa che ti logora nel profondo e alla fine ti impedisce di apprezzare quello che invece ti capita. Non so perché, ma ho sempre avuto la tossica convinzione, perché tossica lo é per davvero, che la “buona madre” sia l’equilibrista che con i tacchi alti corre leggera da un posto all’altro, ricoprendo mille ruoli, vivendo ogni giorno mille vite. Questa convinzione nasce sicuramente dagli stereotipi culturali in cui siamo immersi, che ci vengono costantemente propinati. Per fare un esempio, una donna abbastanza nota nello spettacolo ha appena dato alla luce il suo primogenito. Benissimo. Non fa che postare foto in giro, mentre lavora e allatta, mentre é dal parrucchiere con il braccio un neonato di forse meno di un mese. Intendiamoci, se questo la fa star bene va benissimo, chi la guarda però potrebbe inconsciamente pensare che fare tutte quelle cose insieme, sia assolutamente normale, perché ormai essere “multitasking” come dicono, é il requisito basilare per ricoprire ogni possibile ruolo in questa società. Non si può prendersi serenamente del tempo per fare qualcosa. No, quel qualcosa deve essere necessariamente abbinato ad altro. Solo così siamo efficienti per davvero. Ecco, ho capito che non mi interessa più né essere efficiente, né essere multitasking. Voglio solo essere serena. E riabituarmi a respirare.

2 commenti

Lascia una risposta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Iscriviti alla newsletter

Iscriviti