L’altra sera mio figlio, attualmente in seconda elementare torna a casa con la cartelletta delle verifiche da firmare. Le estrae dalla cartella, in mezzo al casino dei fogli, delle matite sparse, dei bigliettini del compagno di banco. Mi guarda serio: “Vedi un po’ che disastro“. “Un disastro?” Gli domando. Prendo i fogli e mi siedo sul divano chiedendogli di venire vicino a me per capire insieme. Scorro quei fatidici quattro fogli e rimango perplessa da quello che lui definisce “disastro”. Il primo foglio era perfetto, gli altri due avevano due errori ciascuno, l’ultimo aveva molti errori. “Beh gli dico, c’è un argomento che non hai ben chiaro, ma gli altri sì, a me non pare un disastro, semplicemente ci sono alcuni concetti che sono meno chiari di altri. Tutto qua. A fronte di cose che invece hai capito molto bene“.
Eppure non lo vedo convinto. Riguarda i suoi fogli, concentrandosi continuamente sui segni rossi, sulle parti mancanti, fino ad esclamare :” Se non faccio tutto giusto allora significa che non so fare niente“. A quel punto mi rendo conto che abbiamo molto più di che parlare rispetto a quattro segni rossi sulla verifica. Mi dirigo verso il frigorifero e verso due bicchieri della nostro succo di frutta preferito e gli chiedo di sedersi a tavola e parlare un attimo.
“Quando abbiamo fatto i compiti tu hai fatto del tuo meglio per capire?” “Sì, sì”. Basta allora tra poco ci mettiamo insieme a vedere che cosa non é chiaro e questa situazione si risolve qui. Ma una cosa ti chiedo di non fare più: sii più gentile con te stesso“. Mi osserva con i suoi occhi spalancati di bambino, come se gli avessi detto qualcosa di strano, di assurdo. “Gentile con me stesso?“. “Sì, hai capito bene, gentile con te stesso. Gentile con la tua persona, gentile quando parli di te. Perché a fronte di qualche errore io vedo due cose: primo, un bambino che ci mette sempre il massimo, secondo, vedo molte cose invece che hai capito molto bene. Il resto si sistema, ma si sistema finché tu ti tratti bene“.
Ha bevuto il suo bicchiere di succo di frutta e si e messo a giocare con le sue macchine, come se fosse più leggero, spensierato. Come uno che si é tolto un peso, e il peso non erano i segni rossi sui fogli, il peso era quello che lui stava pensando di se stesso.

Quanto pesa un errore per un bambino
Ci hanno detto migliaia di volte che sbagliando si impara. Mio figlio ho cercato di educarlo così, per quel che si può libero di sbagliare, ovviamente nel perimetro di errori che ritengo possano aiutarlo a capire e non certo fargli del male. Quando é stato in grado e me l’ha chiesto l’ho lasciato libero di vestirsi da solo, svegliandolo anche prima la mattina proprio per dargli la libertà di metterci il suo tempo. L’ho lasciato libero di versarsi da bere da solo, rovesciando mille volte bicchiere o bottiglia. Non gli ho mai dato in mano roba di plastica che non si rompe, così a suo tempo, ha imparato che un piatto che cade va in mille pezzi e basta. E quindi ha imparato a maneggiare gli oggetti, consapevole che se cadono, appunto, c’è la possibilità che vadano in frantumi. Ogni volta che involontariamente sbagliava, non l’ho mai rimproverato, gli ho sempre detto che chi fa, sbaglia. Solo chi rimane immobile non commette errori, perché non fa mai niente. Mettendosi in gioco personalmente fin da piccolo, ha imparato che può avere fiducia in se stesso, che é capace.
Eppure. nonostante detti e proverbi, arriva un momento in cui questa autostima, se non viene rinforzata e alimentata dagli adulti che ci sono vicino, può andare in mille pezzi. La società in qualche modo ti trasmette il messaggio che se non fai tutto in modo perfetto non vali niente, che sbagliare non é ammesso. E non importa se l’errore é uno su un foglio invece colmo di cose giuste, si impara fin da piccoli a non darsi pace per quell’unico errore.
Si inizia da bambini, e si cresce così, valutando se stessi con il metro della “performance” e basta. Io continuerò a dirgli che se si impegna, può fare tutto. E che l’errore fa parte del nostro essere umani, del nostro essere vivi. Certi giorni le pressioni dall’esterno sembrano così forti, che mi pare di tenere chiusa una porta a forza con onde enormi che sbattono per aprirla. Ma non mi importa, continuerò a dire a mio figlio che deve essere gentile con se stesso. Sperando che un giorno, da grande, lui abbia imparato a dirselo da sé.

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