“Se tuo padre e tua madre non ti hanno mai detto un no da quando sei nato, il primo no che ti dice un esterno non lo accetti. L’educazione è una fatica che nessuno è più disposto a fare: coinvolge i genitori, i nonni, gli educatori, anche quelli fuori scuola a incominciare dall’ambito sportivo“
Paolo Creopet, psichiatra
Fanno di proposito male ad altri? Beh, sono bambini. Escludono altri bambini e li prendono in giro perfettamente consapevoli di quello che dicono e dell’effetto delle loro parole? Beh, sono bambini. Si coalizzano in tre contro il bambino nuovo appena arrivato davanti agli occhi degli adulti? Beh sono bambini.
Stamattina ho discusso con altri genitori, non mi è mai capitato e ho sempre evitato di farlo, non sono mai stata facile al giudizio e preferisco farmi gli affari miei. Solo che non ho voluto e potuto tacere, questa volta. Gruppo di bambini, tra cui il mio. Bambino nuovo, che cercava di giocare con loro. Escalation di frasi: “Tu non ci piaci, tu non giochi, a te non diamo niente“.

Mio figlio istintivamente gli ha dato il suo dinosauro e so anche il motivo, essendoci passato, adesso è sensibile a questo tema. Ma se fosse stato nel gruppo degli altri tre, sarei intervenuta immediatamente e con una certa fermezza. Perché se per tante cose ho una pazienza che non so nemmeno dove la trovo, per situazioni come queste invece la mia tolleranza è zero. Non sopporto i prepotenti, specialmente quando sono in gruppo.
I genitori sentivano perfettamente. “Eh sono bambini“, ripetevano qualche volta col sorrisetto di circostanza. E via, va bene così allora, sono bambini, lasciamo che dicano e facciano quel che gli pare, anche ferire deliberatamente il prossimo. Stiamo seduti qui, ognuno con il suo telefono in mano, e lasciamo fare. Dentro di me riflettevo anche su come è facile dire che sono bambini quando non é tuo figlio quello che rimane in disparte, ma questa forse é un’altra storia. All’ultima giustificazione di fronte all’ennesima frase offensiva, non sono più riuscita a trattenermi: “Sicuramente sono bambini: proprio perché sono bambini hanno bisogno degli adulti che gli fanno notare quando sbagliano e gli fanno capire come rimediare”. A tre anni è un conto, a sei e sette anni sono ancora bambini certamente, ma sanno anche quello che dicono e se si divertono, in gruppo, a vedere che un altro piange a seguito delle loro parole e ridono di questo, sono bambini certo. Bambini che stanno mettendo in atto dinamiche da disinnescare immediatamente. Per disinnescarle in molti casi devono intervenire gli adulti, a costo di fare la parte dei guastafeste.
Crepet ripete sempre che educare è perdere il fiato; l’ho capito da quando ho un figlio, prima mi sembrava una frase come tante. Ha ragione, è perdere il fiato, é ripetere milioni di volte le stesse cose se serve. Educare è trasmettere il concetto di empatia, il riuscire a mettersi nei panni altrui. Educare è intervenire e se c’è bisogno prendere posizioni nette e senza sfumature, questo è un caso di quelli. È provare a condividere messaggi costruttivi, a spiegarli, a elaborarli insieme.
Educare non è sempre e solo giustificare i propri figli, anzi, giustificare sempre e quando non c’é nulla da giustificare, probabilmente è proprio la rovina di un figlio. Forse si inizia ad educare per davvero quando si smette di giustificare senza motivo. Perché in certi casi non sono “solo bambini”, ma fa più comodo giustificare loro, giustificare noi stessi e tacere per il quieto vivere. Sappiamo bene quanto possano essere faticose certe discussioni, ma evitare di farle non é un regalo che facciamo ai bambini.
Perché fin quando non tocca a te tutto sommato i sentimenti altrui sono cosa di poco conto. Certamente non si può obbligare un bambino a giocare con un altro bambino se non ne ha voglia su questo non ci piove. Non si può nemmeno costringerlo a condividere i suoi giochi se non ha piacere a farlo. Non permettere che lo offenda o che rida del dispiacere degli altri però è il minimo dell’educazione che possiamo provare a dare.
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