Da quando sono mamma mi hanno detto in diverse occasioni che lascio correre e che ho una discreta pazienza, che anche davanti alle situazioni più stressanti riesco anche a fatica ovviamente a mantenere la calma e a sorridere.
Si potrebbe pensare che “è carattere”, o che il mio atteggiamento deriva dal fatto che non ho problemi particolari e quindi ho un’attitudine mediamente positiva alle frustrazioni.
Ma posso dire che anche questo è tutt’altro che così, problemi e grattacapi più o meno importanti in questi anni ce ne sono stati, eccome se ce ne sono stati, di ogni tipo. Problemi lavorativi, delusioni negli affetti, situazioni che sembravano serene e all’improvviso sono diventate cupe, pesanti e insostenibili. Per non farla troppo lunga, certamente non è stato tutto rose e fiori.
Da quando ho smesso di prendermela per tutto
Forse l’ho raccontato qualche volta, forse no e lo faccio ora. Quando il mio bambino era piccolo sono stata praticamente un anno e mezzo sola con lui, perché mio marito è stato obbligato a fare un periodo all’estero per lavoro. Facevamo avanti e indietro ma per lunghi mesi, lunghe giorni e altrettanto lunghe notti eravamo soli io e lui. E sola io, a guardare in faccia anche la mia stanchezza, la paura di crollare di fatica e le mie emozioni negative.
Quando sono tornata a lavorare in ufficio rientravo a casa verso le 16, giusto in tempo per cambiarmi e portare il bambino al parco fino alle sette e mezza di sera. per farla breve, so molto bene che cosa significa stare sola con un bambino e so anche molto bene in che condizioni arrivi a sera. Tempo per me, meno di zero, anche semplicemente per rielaborare i miei pensieri.
So bene per esempio che arrivi a fine giornata e non ne hai più, quando sono piccoli per tutte le esigenze pratiche, quando sono più grandi perché è un continuo mediare, e passi anche pomeriggi interi semplicemente a gestire malumori, a dire no. A ripetere le cose duecento volte. Il mio vissuto e la mia esperienza mi hanno messo allora davanti a un bivio, con due alternative. La prima: prendersela per tutto, incazzarsi per ogni cosa e farne una questione di principio con il rischio molto elevato di trasformare la propria esistenza e quella altrui in un girone infernale. La seconda, scegliere le proprie battaglie e tenere il punto su ciò che si ritiene realmente essenziale. Le mie riguardano essenzialmente il rispetto degli altri e di se stessi.
Questo non significa vivere con le fette di salame sugli occhi, non infastidirsi del casino, del decimo biscotto sbriciolato per terra, o della quinta discussione della giornata per non mettere la giacca quando fuori ci sono due gradi, ma io di vivere da mamma sempre arrabbiata, insoddisfatta o con il muso lungo proprio non ho voglia, prima di tutto per me stessa, e poi per chi mi sta vicino. Perché a ben vedere, se si vuole, qualcosa per cui essere scontenti la si trova sempre, ma io da tempo ho scelto di guardare a prima quelle che invece mi rendono contenta.
In fin dei conti contare fino a dieci prima di parlare o cercare di non sfogare sugli altri tutti i malumori non significa necessariamente essere permissivi, significa solo scegliere di soprassedere davanti alle inutili battaglie.
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