Da qualche tempo ci sto pensando tanto, o meglio, sono le vicissitudini del quotidiano che mi ci fanno pensare.
Quando sono diventata mamma ero la prima delle mie amiche (che nel frattempo se l’erano data a gambe) e tutte le mamme che ho conosciuto in seguito non facevano parte della cerchia delle mie conoscenze.
Ci incontravamo tutti i giorni al parco con i bambini, qualche volta a casa di qualcuna e tra un consiglio, un pannolino e un gioco si parlava di noi.
Che bel mondo, dicevo a me stessa, quello delle mamme, come se sentissi dentro di me che vivere la stessa condizione con le stesse difficoltà, le stesse gioie, problemi simili, fosse sufficiente a pensare di poter condividere qualcosa. Devo essere sincera, qualche anno dopo mi sono resa conto che non è così, anzi al contrario, si parla anche per ore avendo cura di non raccontare nulla di sé.
Per me che sono sempre stata una persona incline alle amicizie questo è sempre stato motivo di malinconia, perché sono profondamente convinta che l’apertura verso il prossimo sia un valore aggiunto, anzi, un enorme valore aggiunto nella vita di ogni giorno.
Dopo cinque anni di “vita da mamma”
Sono trascorse cinque primavere, innumerevoli giri al parco e file davanti alle altalene. Ho i miei punti di riferimento che non posso considerare amicizie ma persone che frequento perché i figli vanno molto d’accordo con il mio ad esempio, ma non mi sento di parlare di amicizia. Spesso involontariamente raccolgo confessioni, crisi di coppia, mariti che se ne vanno, donne che perdono il lavoro, bambini con piccoli e grandi problemi. Per come sono fatta, quando le persone si confidano, soprattutto se mi rendo conto che stanno vivendo una difficoltà, se posso, senza essere invadente tendo una mano.
C’è la ex collega mamma come te che sta cercando un buon avvocato per riuscire a recuperare i soldi che l’ex azienda le ha indebitamente sottratto e tu le dai il nominativo del tuo, preparatissimo, che ti ha già seguito e risolto il problema, ti raccomandi di chiamarlo facendo il tuo nome e lei sparisce nel nulla, probabilmente pensando che avessi chissà quale interesse (nessuno, ovviamente). C’è quella che piange al telefono perché il bambino non ha amici, le offri di incontrarsi e giocare insieme al tuo e alla fine non c’è mai un giorno giusto.
C’è quella che sta cercando disperatamente una baby-sitter e non usa i social, ti offri di chiedere su un gruppo delle città per recuperare qualche nominativo e poi alla fine non sa nemmeno lei che cosa sta cercando e ti liquida senza tante cerimonie.
Perché lo fai, vi domanderete. Perché in quei momenti non riesco a non farlo, è più forte di me.
Però mi domando, siamo ancora abituati alla gentilezza oppure è diventato talmente “normale” sentirsi ignorati dal prossimo che nelle rare volte in cui non succede ci domandiamo dove sia la fregatura, quale sia il tornaconto?
Una volta una mamma del parco doveva raggiungere con la bambina un posto vicino in linea d’aria ma lontano a piedi, le ho offerto di usare per mezz’ora il mio abbonamento alle bici comunali, mi ha guardato e ringraziato come se le avessi regalato l’ultimo modello della borsa di Prada. Eppure, a me quella gentilezza è venuta spontanea. Per questo mi domando se siamo ancora abituati ai rapporti umani, al calore, alla reciprocità e non ne sono tanto convinta.
Possiamo ancora credere che una persona con cui ci si è confidati poco prima possa davvero aver ascoltato il nostro malessere e possa per quel che può offrire un’informazione, un aiuto, qualsiasi cosa?
Ci siamo così abituati all’indifferenza che la gentilezza fa paura e anche tanta.
Sarà che io sono una sognatrice e per quanto le batoste, l’età e la vita mi abbiano parecchio ridimensionata immagino forse una società in cui le distanze non siano sempre cosi grandi, una strada in cui i bambini si conoscano per nome e giochino insieme. Immagino addirittura un condominio in cui se una mamma è sola e ha un problema all’improvviso possa addirittura immaginare di ricevere un aiuto scendendo una rampa di scale dai vicini che conosce da una vita, o da un mese, ma almeno li conosca.
Lo so che ci sono tanta utopia e troppa immaginazione in questo discorso, ma io continuo a pensarla come quel tale che scriveva che il più piccolo atto di gentilezza vale la più grande delle intenzioni. E io continuerò a praticare atti di gentilezza ogni volta che il mio cuore mi dirà che è giusto così. Perché non c’è niente di più gratificante di sentirsi parte di qualcosa, sempre e comunque, nonostante tutto.
Elisa
Brava! In più dai un ottimo esempio a tuo figlio. Mi ritrovo nel tuo discorso e penso che la gentilezza spaventa perché è passata di moda, purtroppo!